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Il bene che c’è. E che serve.

Il bene che c’è. E che serve.

Il bene che c’è. E che serve.

Fare il bene non è dare o non dare denaro: 2 euro con una telefonata o 10.000 del mio ricco bilancio per aprire una scuola, un asilo, un ambulatorio ecc.
FARE IL BENE È DARE SE STESSI: amare, perdonare, condividere, gioire, soffrire e sperare insieme. Mi è venuta spontanea questa riflessione dopo una telefonata fatta ad un amico.

briciola di luglio

IL CAMPER. Gli avevo chiesto al telefono se poteva dare un passaggio sul suo camper a un’amica che si recava nello stesso posto dove andava lui con la sua famiglia. Poi lei se ne andava per conto suo. Mi rispose: “Carla quest’anno non posso, se andremo qualche giorno in vacanza, dico se, perché non siamo sicuri di andare,  partiremo col treno, il camper l’abbiamo dato a una famiglia di terremotati fino a quando non verrà loro assegnata una casa o un alloggio più comodo”-
Me l’ha detto come fosse la cosa più naturale del mondo. Se così hanno deciso, l’hanno deciso insieme: moglie e figli. Tutta la famiglia ha condiviso.
Da qui mi è venuta la riflessione che ho scritto sopra, senza aver la pretesa di insegnare qualcosa a nessuno. Una riflessione personale che ora trasmetto a chi sta leggendo questa “briciola” mensile.

SAN FRANCESCO non ha condiviso le ricchezze, anzi, quelle che aveva le ha rese al padre. Una volta spogliato di tutto che cosa ha condiviso? L’amore- Ha dato se stesso. Quando incontrò il lebbroso, malato che allora faceva orrore, scese da cavallo gli corse  incontro, l’abbracciò e lo baciò. Da quel giorno visitò spesso le case dei lebbrosi e ne baciava il volto e le mani.

MARCELLO CANDIA, grande industriale farmaceutico di Milano ha venduto tutto e condiviso la sua vita con i più poveri, si è fatto lebbroso con i lebbrosi. In Brasile ha fondato un lebbrosario, ma non si è limitato a fondarlo, si è fatto uno di loro. Non ha viaggiato, predicato, fatto propaganda, ha dato se stesso. Questo è fare il bene.

FRATEL  ETTORE, (non so se c’è chi lo ricorda) non aveva niente, ha cominciato a frequentare i barboni della stazione di Milano, ad assisterli, a stare con loro, a dare se stesso per loro, a cercare la carità per loro e ne è nata una famiglia straordinaria di solidarietà e di fratellanza che vive tuttora. Amava ripetere: “Se tu vedessi per strada o sotto un ponte tua madre o tuo fratello cosa faresti? Gli daresti i soldi per un panino o lo porteresti con te, a casa tua?”

DA REGGIO EMILIA, una giovane amica, che sta preparando la tesi di laurea in medicina mi ha scritto: “Tante volte nelle mie mattine o pomeriggi nel reparto dell’ospedale ho sentito qualcuno chiamarmi per chiedere qualcosa. Chi con le parole, chi con lo sguardo, chi col terrore della morte negli occhi. Cerco di rispondere, di stare vicino, ma chissà quante volte non ho sentito, o ero impegnata a fare altro e non sono stata capace di ascoltare quella che era la chiamata del crocifisso che avevo davanti! Non voglio che i miei futuri pazienti diventino per me numeri tutti uguali. Non sono malattie, sono persone, ciascuno con la sua storia, il suo vissuto. Non lascerò che i mille doveri che avrò e la burocrazia che mi sommergerà mi distolgano dal motivo principale per cui ho scelto di essere medico: Dare me stessa, esserci, così voglio vivere”. E già adesso so che passa le ore libere da impegni di studio nel visitare a domicilio i malati, persone sole o anziane, famiglie con figli disabili. Questo è fare il bene.

IL PROF. HENRIQUET, del quale ho già parlato, ha fondato a Genova l’Associazione – Gigi Ghirotti –  che si occupa di malati di cancro (non dico terminali, mi sembra un aggettivo sbagliato, si potrebbe dire solo: malati gravi, è meno funereo inoltre il termine della vita lo sa solo Dio). Una grande opera sociale, ma il vero bene, non è solo l’opera con i suoi tanti volontari  generosi e fedeli al  loro impegno, il  bene sta nel fatto che lo garantisce lui, di persona, ogni giorno. Il suo numero di telefono è aperto anche di notte per le urgenze. Va lui stesso a visitare i malati, anche solo per fare compagnia, per ascoltarli, per dire, con la sua presenza, che non li abbandona. Lui, lui non più giovane, gira tutto il giorno in motorino su e giù per la città a portare aiuto, conforto a malati e famiglie. Dà se stesso, e questo non si chiama “beneficenza”, si chiama “amore”.

A RIMINI,  Giuseppina, un’amica handicappata e in carrozzella, durante l’estate ospita nella sua casa altri handicappati gravi, che, diversamente, non potrebbero andare da nessuna parte. Da Giuseppina si sentono in famiglia. Chi può capirli più di lei?

Ecco la mia riflessioni, cari amici.
E’ iniziato il periodo delle vacanze, il mio amico non potrà andare col camper in giro per l’Italia con la sua famiglia, ma è felice di aver reso meno difficile la vita di quella famiglia rimasta senza “niente”. Chissà in quanti hanno fatto o stanno facendo la stessa cosa con la seconda casa, o il camper o rinunciando a un bene di cui possono fare a meno.
E’ facile telefonare e dare 2 euro mettendosi l’anima in pace perché si è fatta un’opera
“buona” o mettere mano al portafoglio e darne 5 al marocchino o alla romena che sta alla porta della Chiesa, è meno facile rinunciare anche solo a un giorno di vacanza o a qualcosa d’altro per regalare il corrispettivo importo a chi le vacanze non se le può permettere, perché ha perso tutto e deve RICOMINCIARE LA VITA CON  IL “NIENTE” CHE GLI È RIMASTO.

Per questo ripeto le parole con le quali ho cominciato questa breve riflessione:  “FARE IL BENE È  DARE SE STESSI” .
Buona estate a tutti. Con affetto  Carla Zichetti – briciola

PS. Grazie a tutte le briciole che hanno risposto e dato la loro  testimonianza dopo aver letto la “briciola” di giugno. Stiamo formando un “grosso, unico pane”. Grazie, Carla

1 LUGLIO 2012 – Questa lettera l’ha pubblicata AVVENIRE nella rubrica “Lettere al Direttore” il quale ha risposto così:
Già, fare il bene è dare se stessi. Mettersi  in gioco, non tirarsi da parte. E’ lasciarsi contagiare da chi già fa e dà. E’ aggiungere un po’ d’amore a quello che c’è, immenso e mai sufficiente. L’importante è riuscire proprio, come lei, cara signora Carla, a tenere gli occhi bene aperti, a esercitare uno sguardo sgombro, a capire e  ad agire. Altri e altre cose tengono banco e sembrano occupare tutta la realtà perché occupano quasi tutte le televisioni e quasi tutte le prime pagine dei giornali. Eppure il bene, la forza buona che muove il mondo e lo cambia in meglio, trova sempre nuovi volti e nomi e braccia. Scrive storie e riscrive finali tristi e dati per scontati.
Fa bene sentirselo ripetere. Grazie. Che sia davvero una buona estate.

Marco Tarquinio

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