Lourdes 2007
Dal 24 al 30 settembre sono andata a Lourdes col pellegrinaggio Nazionale dell’Unitalsi. E’ un appuntamento al quale, fino a quando Dio me lo concede, non voglio mancare.
Davanti a quella Grotta non c’ero solo io e gli amici presenti, c’erano tutti quelli rimasti a casa, che abbiamo ricordato in particolare quando abbiamo acceso il grosso cero delle briciole.
Ecco allora per i tanti amici, alcuni miei semplici e particolari ricordi.
Non dimentico il sorriso di Barbara, una giovane di 16 anni semiseduta in barella, frequenta il primo anno di ragioneria. Le brillavano gli occhi come avesse dentro la luce del cielo. Le ho chiesto se era la prima volta che veniva a Lourdes. “No, mi ha risposto, sono 14 anni che vengo”- così in barella – non so per quale malattia. “Cosa ti porti a casa da questo pellegrinaggio?” le ho chiesto. “La gioia. Qui ne faccio rifornimento, qui è tutto bello. Mi porto a casa la bellezza”. Ci siamo date l’appuntamento per un altr’anno se Dio vorrà. Di conseguenza ho pensato che se il volerci bene qui in terra ci procura tanta gioia da far quasi dimenticare le ferite del corpo, cosa sarà mai la gioia del cielo?
Ogni angolo della terra può diventare Lourdes, se ci doniamo a vicenda.
Ma Dio dov’è quando soffro? dov’è quando non trovo vie di uscita a una situazione difficile? dov’è quando mi viene a mancare la forza di continuare a lottare? dov’è quando mi sento abbandonato da tutti perché ho perso l’onore? E’ accanto a me, prigioniero con me, disonorato, deluso, stanco, inchiodato alla croce, non mi lascia solo, se in Lui confido.
A Lourdes ho visto questa realtà in quelle mamme e papà che accompagnano i loro figli feriti, e li accompagnano sorridendo e cantando; l’ho visto negli occhi di Barbara, di Luca, di Luciano da oltre 50 anni in carrozzella, che dipende in tutto da tutti; l’ho sentito nelle parole di fiducia di Maria Assunta, una giovane che è in attesa del trapianto totale di intestino perché il suo è totalmente inerte ed è nutrita solo con sonde e apparecchi elettrici che si è portata da casa come in un ospedale ambulante.
L’ho sentito nel canto di Antonietta che, per far stare calmo suo figlio Francesco, deve sempre cantare. Canta, sorride e piange.
A Lourdes si vedono malati, anche intubati o attaccati alla flebo, in Basilica, in piazza, in processione coi loro supporti per la nutrizione, l’aerazione e quant’altro è necessario per la loro vita. Tutto è possibile perché l’amore non conosce ostacoli, fa miracoli.
Carla e Barbara
Non sono le parole che parlano, sono i gesti, gli sguardi, i sorrisi, le preghiere silenziose. Una sera alla Grotta ero vicina a una signora in carrozzella che teneva gli occhi chiusi. Dietro lei c’era un signore, forse il marito, che da dietro le spalle la abbracciava e, mettendole le mani sugli occhi, le teneva alzate le palpebre per farle vedere la Madonna (probabilmente lei non poteva alzarle). Stettero in quella posizione parecchio tempo, lui ogni tanto le sussurrava qualcosa all’orecchio. Erano solo una fessura quegli occhi ma chissà cosa avranno detto alla Mamma…“Guardami tu, è più importante che vederti io?…”. Non dimenticherò mai quella scena unica nel suo genere, ma a Lourdes tutto è “unico”. Partendo dalla Grotta quella sera ho chiesto a Maria per me, per ognuno di noi di tenerci aperti gli occhi dello spirito per vedere come Lei, in ogni persona un figlio di suo Figlio e di amarlo come lo ama lei.
Sarebbe davvero il Paradiso in terra, perché il Paradiso è amore.
Saluto tutti con amicizia
Carla
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